di Massimo Rizzante
Oggi, in Italia, ci sono forse due o tre romanzieri che possono essere invitati al banchetto del romanzo mondiale e dire la loro. Uno di questi è antonio moresco. da poco è in libreria Gli incendiati, una delle sue prove migliori. L’ho incontrato.
m. r. Il protagonista del tuo romanzo si è allontanato dal consorzio umano, si è perduto. All’improvviso ha una visione: mentre divampa un incendio una bellissima ragazza dai denti d’oro gli sussurra: “Vuoi bruciare con me?”. Da quel momento in lui tutto rinasce: il sogno, la memoria, il senso dell’avventura… Gli incendiati è un romanzo d’amore. Di più: un romanzo erotico in un mondo pornocratico. Che ne pensi?
a. m. Mi sembra una buona definizione: un romanzo erotico e cosmico in un mondo pornocratico e piatto. Oppure, per dirla in altro modo, un romanzo sulla libertà e la ribellione.
m. r. Il protagonista scopre che la sua ragazza, come quasi tutta l’umanità, è tenuta in pugno da un gangster, il cacciatore di schiavi, il quale ha una sua teoria: “senza la schiavitù non ci sarebbe la vita…”
a. m. Il cacciatore di schiavi dice la verità, ma non la dice tutta. E, se uno dice la verità ma non la dice tutta, mente. La parte di verità che non dice è che, se anche tutto questo è vero, io posso non accettarlo. Se tu mi dimostri in ogni modo e fino alla fine del mondo che tutto questo è vero, io, fino alla fine del mondo, posso ribellarmi a questa verità e non accettare di viverci dentro, come fanno i due protagonisti di questo romanzo.
m. r. Il problema è che non riusciamo a “essere schiavi del caos”, come afferma ancora il tuo gangster? Ma da Omero in poi la nostra civiltà non ha forse voluto essere figlia del cosmo?
a. m. Il mio romanzo precedente si intitola Canti del caos, proprio perché, in questo passaggio d’epoca e forse di specie, io il caos non l’ho voluto solamente descrivere, ho voluto anche farlo cantare. E così, con questo canto, si sono create le sue orbite. Io mi sento vicino all’omero dell’Iliade, mentre la nostra civiltà mi sembra più vicina a quello dell’Odissea. Ma senza rendersi conto che ormai non c’è neanche più una patria a cui ritornare.
m. r. Nella bellissima parte finale del libro (dove ogni concezione infantile di realismo viene fatta esplodere) il protagonista e la sua ragazza muoiono, ma la loro lotta continua. Neppure l’al di là è una patria?
a. m. No, non mi pare. Siamo dentro qualcosa di infinitamente e drammaticamente più grande. Non ci sono solo la vita e la morte, la creazione e la distruzione. C’è anche, forse, un’altra possibilità, un’altra dimensione, un altro movimento: l’increazione.